Musica e Teologia: l’oratorio “Christus” di F. Liszt.

L’idea di porre in dialogo musica e teologia non è una “scoperta” recente, appartenente in maniera esclusiva ai nostri tempi. Potremmo dire, anzi, che si tratta di una delle relazioni “interdisciplinari” più antiche e, da sempre, costituisce uno degli snodi centrali delle culture tradizionali. Tentare un’esplorazione musicale del mondo di Dio e vedere se, dove e come, possa, uno sguardo di fede, guidare la composizione di musica è un itinerario che ha affascinato molti artisti e pensatori. Sono numerosissimi gli studi che si occupano delle articolazioni esistenti tra rito e musica, tra esperienza “mistica” e ritmo, sia nell’ambito dell’antropologia culturale che in quello, più rigorosamente estetico, della storia della musica.

La relazione tra musica e, per così dire, “ambiente divino” è percorribile in due sensi opposti e complementari. Si può andare verso la musica con strumenti teologici: ciò rende possibile intuire qualche elemento di una composizione, in modo particolare se di carattere religioso (ma non solo!), che allo sguardo della disciplina storica o dell’estetica musicale non sempre è dato afferrare; è possibile anche procedere, questa è l’altra direzione, verso Dio con mezzi musicali e arricchire la propria capacità di “dire” Dio con l’apporto di un linguaggio atipico e, per questo, insostituibile, poiché in grado di apportare un contributo proprio, altrimenti non esprimibile in altra via. 

Il tentativo di percorre i sentieri musicali presenti nel Christus di Liszt si è mostrato interessante e fruttuoso, innanzitutto, per la possibilità di vedere come, propriamente dal punto di vista tecnico, possa essere tradotta, in linguaggio musicale, una determinata teologia, con tutto il sistema complesso di influssi e relazioni dovuti sia all’ambiente culturale, sia alla personalità propria dell’autore, necessariamente connessi l’uno all’altra. In particolare, dal punto di vista della strutturazione dell’oratorio, è emerso, in maniera evidente, il ruolo insostituibile di un pensiero in grado di sostenere una connessione di momenti musicali, di per sé indipendenti, e, all’interno di tale organizzazione temporale, porre accenti più o meno marcati sui diversi aspetti della persona di Cristo.

Così, alla scuola della musica e dei grandi compositori, possiamo apprendere che raccontare la vita di Cristo non consiste nello sforzo di andare oltre ad ogni aspetto materiale e storico per giungere, in modo neutrale, alla purezza dell’idea, anzi, proprio nel legno degli strumenti musicali, ognuno con la sua estensione e quindi con il suo limite, proprio nell’esecuzione mai meccanica e identica a se stessa della medesima partitura, proprio nelle scelte compositive ed esecutive in continuità o discontinuità  rispetto allo stile in voga, quindi legate inevitabilmente ad un ben preciso contesto temporale, proprio in tutto ciò che è assolutamente contingente e che dipende da realizzazioni concrete, è possibile incontrare colui che non muore e si rinnova perché ha scelto, per così dire, di lasciarsi interpretare per continuare a parlare e comunicare la sua parola eterna.

Un racconto in forma musicale educa coloro che ascoltano, nel lasciarsi coinvolgere, sotto più aspetti: dalle emozioni suscitate alle reazioni richieste, dalle parole pronunciate alla presunta ricezione della conformità tra testo ed espressione musicale. L’oratorio di Liszt è tutto proiettato verso un interlocutore “necessario” per far sì che esista l’evento musicale e, perciò, si comprende molto bene come il primo interlocutore invitato all’ascolto sia il compositore stesso. La musica può educare colui che ascolta se, in qualche misura, è riuscita ad educare chi l’ha composta. È anche per questo, che l’attività stessa del comporre può dire qualcosa sulle esigenze profonde dell’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio. Un racconto in forma musicale può essere in grado di “dire” cose importanti circa il modo di accogliere il fatto stesso narrato, in questo caso, l’evento della rivelazione di Dio Padre in Cristo, soprattutto, per quanto riguarda le condizioni di un ascolto fruttuoso. L’immagine sonora, infatti, attira a sé ma non pretende di essere autosufficiente, possiede un grande potere attrattivo ma non scende in profondità, almeno, tanto quanto la parola stessa è in grado di fare.

L’idea sulla musica, che risulta maggiormente diffusa e condivisa, è, senza dubbio, quella che la considera un fenomeno principalmente rivolto alle dimensioni spirituali dell’uomo, in quanto quasi immateriale e invisibile. Di certo, tale concezione si inserisce nel grande filone del romanticismo o, addirittura, nelle teorie pitagoriche e platoniche, dove l’intelletto, la ragione, l’anima, il cuore, sono le facoltà che rendono l’uomo degno di essere considerato tale. Ma, per come è pensato e realizzato dal punto di vista dell’effetto acustico, il Christus di Liszt e, più in generale, tutta la musica, ci costringono ad integrare questa visione con l’aspetto più “fisico” della musica. È nella materialità della massa sonora o, a volte, nei passaggi scarni e quasi scarnificati, che passa la narrazione della vicenda di Cristo. E’ in questa “carne” musicale che troviamo il luogo dove incontrare la sua realtà. Un modo più realistico, infatti, di concepire la musica, ci permette di apprezzarla veramente come strumento in grado di produrre un’efficace mediazione “spirituale”.

La musica, non quella in generale, che non esiste, ma quella composta, pensata, cancellata, rifatta, rivista, mostra come l’esito finale di tutto il processo di composizione, delle innumerevoli varianti che si potevano utilizzare, sia, in realtà, una sorta di “distillato” di scelte. Tutta la musica scritta, ma anche quella improvvisata, è frutto di un discernimento sia stilistico che contenutistico, perciò, l’eventualità di esprimere una teologia in musica obbliga ancor più strettamente l’autore a concentrare il materiale, ad operare scelte drastiche, a sforzarsi di non rinunciare ad esprimere il centro, o i punti centrali della sua narrazione, ed, inoltre, a pensarli all’interno di un medesimo quadro logico nei contenuti e coerente nello stile.

Se riteniamo possibile affermare che il valore più profondo della musica è intuibile  grazie alla luce della fede nel suo svolgersi teologico, è possibile, d’altro canto, pensare  fondatamente che la musica possa accompagnare l’uomo nella progressiva comprensione del mistero di Dio, aprendone nuove possibili strade e sentieri. L’augurio è che tra musica e teologia torni a correre un rapporto fecondo, in grado di aiutare entrambe ad uscire dalle “secche” culturali che oggi paiono tenerle piuttosto frenate, nella vicendevole interpretazione e nella creazione di nuovi linguaggi, capaci di parlare, ancora oggi, di colui che è principio della nostra fede: Cristo.

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